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28/12/2022 16:09
di Stefano Rossini

La disinformazione, le false notizie, le bufale, le fake news – come si usa dire oggi – sono da sempre uno strumento politico prima ancora che informativo. Caratteristica di questo tipo di informazione è la partenza da un contenuto ambiguo, non del tutto vero, ma neanche del tutto falso, ottenuto spesso estrapolando e decontestualizzando un fatto per dargli una lettura faziosa e tendenziosa.

E se oggi, grazie alla diffusione di strumenti di comunicazione online, le fake news hanno infettato la comunicazione come un virus, in realtà la loro presenza risale all’alba delle società umane. Usate per eliminare avversari politici già al tempo dei greci e dei romani e poi per scatenare pogrom e rivolte contro gruppi mirati di persone, spesso minoritari, dal medioevo fino alla propaganda nazista, nel tempo sono diventate uno strumento facile da maneggiare anche da semplici utenti, con cui ottenere un esplosivo effetto a valanga.

Si pubblica una notizia distorta su un social network e il meccanismo della condivisione, rilancio, approvazione la porta ad essere un trend che ha effetti al di fuori dei confini digitali. Un esempio recente è stato il caso messo in piedi da Donald Trump sulle elezioni americane del 2020. L’ex presidente dopo la sconfitta ha lanciato una massiccia campagna di disinformazione, accusando l’avversario Joe Biden di aver vinto grazie ad una truffa. Continuando a fomentare i propri seguaci, molti dei quali già abituati alla grammatica complottista di QAnon, le proteste sono dilagate prima nelle chat e nei gruppi online e poi fuori, portando all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

Non sempre è facile identificare quale sia la fonte da cui scaturiscono le notizie distorte che poi crescono all’interno delle reti sociali digitali, ma spesso è chiaro il loro intento, che è quello di destabilizzare governi, democrazie e organizzazioni internazionali.

L’Europa e le fake news

Tra le prede delle fake news non poteva mancare l’Unione Europea. In questo caso, la disinformazione poteva contare su un terreno molto fertile, quello della sfiducia nelle istituzioni europee e su un generale sentimento antieuropeista da sempre presente in molti paesi del continente.

Anche l’euroscetticismo non è un fenomeno recente, ma è presente sin dalla genesi dell’unione, dagli anni Cinquanta. Con questi ingredienti, la propaganda euroscettica partiva già con grande forza, puntando sul contrasto al processo di unificazione economica e politica, e gettando discredito sulle istituzioni e i media, minando la fiducia dei cittadini nei confronti della UE e ostacolando la capacità delle persone di prendere decisioni informate.

Per porre un freno a questa problematica che tocca i cittadini di ogni età che sempre di più vivono in un flusso incessante di produzione e condivisione di informazioni e contenuti digitali, la Commissione europea lo scorso 11 ottobre 2022, ha pubblicato, nell’ambito del Piano di Educazione Digitale (2021 – 2027) e del Piano d’Azione per la Democrazia Europea, le linee guida per insegnanti ed educatori sulla lotta alla disinformazione e sulla promozione dell’alfabetizzazione digitale attraverso l’istruzione e la formazione.

Una storia tipica

Ma non è facile contrastare questo tipo di informazione: la tavola, i prodotti tipici, l’enogastronomia sono temi su cui i cittadini italiani sono molto sensibili. Da sempre attenti e orgogliosi delle proprie tradizioni agroalimentari, in molti hanno vissuto come un’ingerenza esterna l’intervento dell’Europa per tutelare la produzione e l’industrializzazione dei prodotti tipici dei paesi che compongono l’unione.

L’UE protegge i prodotti tipici e tradizionali attraverso uno specifico sistema di identificazione: Denominazione di origine protetta (DOP), indicazione geografica protetta (IGP) e specialità tradizionale garantita (STG).

Questi sono i tre marchi europei di qualità che vengono attribuiti al “made in” nel settore agroalimentare: DOP e IGP in particolare prevedono un’applicazione puntuale di regole di produzione, di cui sia provata l’origine storica nel territorio dichiarato nella denominazione. Il marchio STG non è invece necessariamente legato ad un determinato territorio.

Su questo terreno è gioco facile diffondere informazioni che, appellandosi proprio al sentimento di orgoglio nazionale, gettano discredito sulle istituzioni europee, facendo emergere l’immagine di un’Europa che non tutela e non protegge i prodotti tipici italiani, spesso a scapito di altre realtà che sarebbero invece maggiormente tutelate e protette.

Tra le fake news messe in circolazione ce ne sono alcune che sostengono come l’Europa si adoperi per rendere impossibile riconoscere la provenienza dei prodotti, per incentivare una sorta di uguaglianza agroalimentare, o ancora che l’unione non tuteli i prodotti storici e tradizionali italiani, come la pizza, o peggio ancora che ne vieti la produzione perché non rispettano gli standard igienici imposti per legge.

Tutte queste affermazioni sono false.

L’Europa infatti ha registrato 170 prodotti italiani nel marchio di produzione DOP, tra cui, ad esempio il parmigiano reggiano, l’aceto balsamico di Modena e altri, rendendo obbligatorio, per chi commercializza quel prodotto – con quel marchio – l’origine in un determinato luogo e ambiente geografico e la lavorazione secondo un disciplinare che ne regolamenta il processo produttivo.

La pizza, invece, gode del marchio STG, che da un lato lo slega da una determinata zona geografica ma nel contempo ne tutela la tradizione.

Infine, riguardo alla questione legata alle norme igienico sanitarie, i marchi DOP e IGP garantiscono che i prodotti tutelati non siano sottoposti ad alcune normative comunitarie in materia, ad esempio, di sanità, igiene, produzione e conservazione dei prodotti. Questi prodotti, infatti, godono di condizioni speciali che garantiscono il mantenimento degli standard di produzione tradizionali.